La depressione ricorrente cronica
A cura della Dott.ssa Loretta Bezzi, Psicologa-Psicoterapeuta SITCC ed EMDR Italia
Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM – IV (American Psychiatric Association, 1994; 1996) distingue due grandi categorie dei disturbi dell’umore (bipolari e unipolari), per sottolineare le enormi differenze fra un disturbo e l’altro in termini di esiti , livello di gravità e possibilità di incorrere o meno in ricadute depressive. I Disturbi dell’Umore, anche se appartengono ad una stessa categoria diagnostica, sono molto eterogenei tra loro e c’è da dire che, nel corso della vita, può capitare a tutti di soffrire, per un periodo più o meno lungo di tempo, di un disturbo depressivo a seguito di un lutto, di una separazione , di un trasferimento abitativo o a seguito della perdita di un lavoro. Si stima che circa un terzo della popolazione può soffrire di un episodio di depressione lieve durante la propria vita.
Quello che le persone di solito non sanno è che non è il sintomo isolato (es. tristezza, umore depresso) a fare la malattia, ma una serie di sintomi, che durano almeno per un certo periodo di tempo. Ad esempio, l’Episodio Depressivo Maggiore è rappresentato dal seguente insieme di sintomi (almeno cinque), considerati unitamente caratteristici del fenomeno depressivo, per almeno due settimane:
- umore depresso per la maggior parte del giorno e quasi ogni giorno;
- marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi, le attività;
- significativa perdita o aumento di peso (senza essere a dieta) o di appetito;
- insonnia o ipersonnia;
- agitazione o rallentamento psicomotorio;
- faticabilità o mancanza di energia;
- sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi;
- ridotta capacità di pensiero, di concentrazione o indecisione;
- pensieri ricorrenti di morte o tentativi di suicidio o ideazione suicidarla.
Analogamente per il Disturbo Distimico, una forma più lieve di disturbo depressivo, devono essere presenti tutti i giorni, ma per un periodo di almeno due anni (senza periodi di interruzione ovvero periodi asintomatici superiori ai due mesi) l’umore depresso e almeno due dei seguenti sintomi:
- scarso appetito o iperfagia;
- insonnia o ipersonnia;
- scarsa energia o astenia;
- bassa autostima;
- difficoltà di concentrazione o indecisione;
- sentimenti di disperazione.
Infine nel Disturbo Ansioso-Depressivo Misto l’umore disforico persistente o ricorrente deve avere una durata di almeno un mese ed accompagnarsi ad almeno quattro dei seguenti sintomi:
- difficoltà di concentrazione;
- alterazioni del sonno;
- affaticamento o mancanza di energia;
- irritabilità;
- preoccupazione;
- facilità al pianto;
- ipervigilanza;
- previsioni negative;
- disperazione;
- bassa autostima o sentimenti di disprezzo di sé.
Cosa causa la depressione ricorrente cronica?
La depressione ricorrente cronica , se “unipolare” (caratterizzata solo dal polo dell’umore depresso e non anche dalla mania o eccitazione maniacale), viene determinata da una forma di pensiero persistente, circolare, negativo, ripetitivo sui sintomi della depressione ( di solito si avverte un solo sintomo ma si pensa di essere depressi) e sulle sue possibili cause e conseguenze ( es. “Sono debole”; “Non riesco a combinare niente”; “Perché non ho voglia di fare niente?”; “Non sono più quello di una volta”; “Perché reagisco in modo così negativo?”), la cosiddetta ruminazione depressiva, che diventa la causa della ricomparsa della depressione, del suo mantenimento e aggravamento (Alloy e colleghi, 2000).
Quando si manifestano questi pensieri ruminativi quasi il 70% delle persone che soffrono di un disturbo depressivo presentano un ritorno dei sintomi dopo la guarigione (ricorrenza) e il tasso più elevato di ricaduta si registra nei primi sei mesi successivi alla guarigione, soprattutto nelle persone che hanno avuto più episodi pregressi (è più alta la vulnerabilità per la minore fiducia nella possibilità di guarire, data dai ricordi negativi legati ai momenti passati di malattia) (Mancini e Rainone, 2004). La ruminazione depressiva, che ha attinenza con la natura dell’umore negativo, non motiva i soggetti a pianificare azioni riparative per uscire dal problema, nonostante l’attenzione rivolta al problema (non è orientata ad uno scopo). La ruminazione, se si manifesta in risposta ad uno stato depressivo, determina esiti gravemente deleteri e sembra ritardare la ripresa da eventi depressivi maggiori. Le evidenze empiriche dimostrano che la ruminazione è un fattore di mantenimento dell’umore depresso e lo stile ruminativo delle persone è un fattore di rischio depressogeno ( Nolen-Hoeksema, 2000). Le persone che si concentrano passivamente sui loro stati emotivi rimangono “bloccate” nel ciclo ruminativo ogni qualvolta si sentono tristi e il loro umore depresso probabilmente persisterà o peggiorerà. ( Nolen-Hoeksema, 2000)
In conclusione i soggetti con stili cognitivi fortemente negativi _ autocritica, dipendenza, bisogno e storia di episodi depressivi passati _ sono inclini a ruminare maggiorente in risposta all’umore depresso rispetto ai soggetti che non presentano questi fattori di rischio depressogeno. Inoltre l’uso abituale della ruminazione depressiva porta ad eventi interpersonali non desiderabili, tra cui un minor supporto sociale e maggiore stress interpersonale ( gli amici e i parenti tendono ad allontanarsi, diventano sempre più irritati di fronte alla natura pessimistica, ripetitiva, non funzionale e alienante di questo fenomeno).
Il tipo di terapia che sembrerebbe più indicato ad interrompere la tendenza a ruminare è quello cognitivo-comportamentale ( Beck et al., 1979). L’aspetto fondamentale della terapia cognitivo-comportamentale è indurre le persone a non accettare automaticamente il valore di verità dei propri pensieri negativi e a scegliere di sostituirli con pensieri più razionali o adattivi, prevedendo anche un lavoro esplicito sulle loro credenze metacognitive, che portano alla ruminazione come strategia, con l’obiettivo di convincerli che la ruminazione non è funzionale e incoraggiarli a scegliere modalità più adattive (Papageorgiou e Wells, 2001). Tuttavia secondo Nolen-Hoeksema (1996) qualsiasi terapia che offra ai ruminatori una spiegazione delle cause per cui sono depressi e una serie di passi da compiere per superare i problemi può interrompere la ruminazione e migliorare la depressione. La ruminazione fa agire la depressione in modo cronico e rafforza il legame fra depressione e altre sindromi in comorbilità, come ad esempio l’ansia e l’abuso di alcol.