Secondo il modello cognitivo del Disturbo di Panico gli attacchi di panico si verificano quando alcune sensazioni corporee vengono percepite come molto più pericolose di quanto non lo siano in realtà e di conseguenza vengono interpretate come segnali di un’imminente ed improvvisa catastrofe (Clark, 1986). Per esempio la persona interpreta erroneamente qualche palpitazione come il segnale di un infarto imminente, oppure una sensazione di nervosismo come il sintomo iniziale della perdita di controllo o della pazzia. Queste interpretazioni catastrofiche possono derivare non solo dalla paura, ma anche da una varietà di altre emozioni (esempio la rabbia) o da stimoli di altra natura (esempio caffeina, sforzo fisico, ecc.). Il circolo vizioso che culmina in un attacco di panico si sviluppa quando uno stimolo percepito come minaccioso crea uno stato di forte preoccupazione; se poi il soggetto interpreta in modo catastrofico le sensazioni somatiche che lo accompagnano, sperimenterà un ulteriore incremento della preoccupazione, si acuiranno le sensazioni somatiche, e così via, fino all’esplosione vera e propria dell’attacco di panico. Per disinnescare il “circolo vizioso” che porta all’attacco di panico il modello cognitivo-comportamentale è quello più accreditato in base alle evidenze scientifiche e si dovrebbe porre come il trattamento di scelta nel disturbo di panico, perché è il solo trattamento psicologico di provata efficacia sperimentale (Williams J., Lyddon, John V. Jones, 2002). Infatti gli attacchi di panico possono essere alleviati con le tecniche cognitive (esempio la ristrutturazione cognitiva), che cercano di mettere in discussione le interpretazioni catastrofiche del paziente e di sostituirle con pensieri più razionali. Sembra che l’efficacia sia equivalente e talora superiore a quella della farmacoterapia (Clum, 1989; Michelson e Marchione, 1991), senza considerare che l’uso del farmaco induce sempre a pensare che ogni risultato, miglioramento sintomatico sia da attribuire al farmaco e non a se stessi. Molte ricerche controllate hanno dimostrato che quasi tutti i pazienti sottoposti a terapia cognitivo-comportamentale migliorano e ben il 90% non ha più sintomi alla fine di una terapia breve (Williams J., Lyddon John V. Jones, 2002). La terapia cognitivo-comportamentale degli attacchi di panico prevede come primo obiettivo quello di bloccare gli attacchi di panico e la loro interferenza con la vita dell’individuo e come secondo obiettivo, se è presente il disturbo agorafobico (la paura di trovarsi in luoghi in cui potrebbe risultare difficile uscire, allontanarsi), di ridurre gli evitamenti agorafobici, l’ansia anticipatoria, l’ansia scatenata dall’esposizione, riducendo la vulnerabilità stessa al disturbo. Infatti una volta che l’attacco di panico è avvenuto intervengono tre fattori di mantenimento che perpetuano il disturbo stesso: l’attenzione selettiva sulle sensazioni corporee, i comportamenti protettivi associati alla situazione e l’evitamento. In terapia è importante fornire delle strategie comportamentali, affinché la persona possa sostituire i comportamenti protettivi in situazione. Solitamente un protocollo di terapia breve cognitivo-comportamentale per gli attacchi di panico, se non sono presenti altri disturbi, prevede circa 16-20 sedute.